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C'è chi pensa troppo, e chi non pensa affatto

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Titolo: C'è chi pensa troppo, e chi non pensa affatto
Fandom: Kanjani8
Pairing: Ryokura + Subassan super accennato
Rating: facciamo PG-15, per varie allusioni e perchè Dokkun è sboccato u.u
Disclaimer: Nulla di tutto ciò mi appartiene, stavolta neppure il plot!
Note: la posto pure qui perchè da un commento mi era sembrato che qualcuno *fissa intensamente ichigo_85* potesse essere interessato. Quindi... ecco... *-*
Questa ff è stata scritta per l'exchange organizzata dalla comm pasticci_fanfic, su richiesta di harin91 (il cui prompt è QUI... e consiglio di leggerlo, quanto meno per capire quali sono i presupposti della storia :D)




Anno 2007
“LA minore, LA minore, Do mag-“ premette male le corde della chitarra e si interruppe; chiuse gli occhi e fece un profondo respiro per calmarsi, poi riprese a suonare. Andò tutto bene, fino a quando arrivò al solito punto, quello in cui continuava a sbagliare.
“LA minore, LA minore, DO maggio- AAAHH!” lanciò al chitarra al capo opposto del letto, osservandola in cagnesco come se la colpa di tutto fosse sua.
Quella storia andava avanti da più di un’ora, ormai: non riusciva a dormire, si metteva a suonare, arrivava a quel punto, e sbagliava. È che era distratto, ed evidentemente cercare di suonare la chitarra non era il modo migliore per scacciare il nervosismo e i troppi pensieri.
Ryo si alzò e prese a percorrere la sua stanza avanti e indietro; non gli sembrava una cosa poi così stupida.
No, non lo era per niente.
Era una richiesta normalissima, la sua, non per forza ci si dovevano leggere secondi fini particolari. Perché non ce n’erano.
Anche se c’era stato un bacio, una volta, quindi aveva comunque un certo diritto sull’altro.
Però quando si erano baciati erano un po’ ubriachi... si fermò nel bel mezzo della stanza, ma dopo qualche secondo riprese a camminare: non contava nulla il fatto che fossero ubriachi, c’erano comunque tanti altri episodi che giocavano a suo favore. E in ogni caso, lui non aveva alcun secondo fine, proprio no.
Era sicuro di sé e della propria decisione: glielo avrebbe chiesto.
Era deciso, ma compose comunque il numero del cellulare di Yasu.
“Pronto?”
Dopo parecchi squilli, tuttavia, gli rispose una voce che NON era quella di Yasuda.
“...Subaru-kun?”
“Ehilà” rispose quello come se nulla fosse.
“Che diavolo ci fai con il cellulare di Yasuda?”
“L’ha lasciato sul suo comodino, e quando ho letto il tuo nome ho pensato di rispondere”
Comodino?

Decise di non fare domande sul perché Subaru fosse vicino al comodino di Yasu all’una di notte.
“Ok, me lo puoi passare?”
“Mmh... adesso è sotto la doccia”
Doccia? A quest’ora?

“Puoi dire a me, se vuoi” si offrì, in un improvviso slancio di generosità. Ryo stava per rifiutare l’allettante proposta, inorridito al pensiero di parlare di una cosa del genere con lui, quando gli tornarono alla mente le parole ‘comodino’ e ‘doccia’. Forse... forse chiedere il parere del collega più anziano non era un’idea così cattiva.
“Mmh... va bene, allora” si sedette sul bordo del letto, cercando le parole migliori per far capire subito all’altro dove fosse il problema “Voglio chiedere a Ohkura di andare a vivere insieme”
Non fece in tempo a finire la frase che, all’altro capo, Subaru era scoppiato in una risata fragorosa.
“Ehi... ehi
Nulla, continuava a ridersela di gusto. Come se fosse posseduto da una iena.
“Ma insomma, e che cazzo!” esclamò, e finalmente l’altro sembrò recuperare l’uso della parola.
“Scusa, scusa... dunque... ma state insieme, quindi?”
“... no, ma...”
Stava per rivelargli il fondamentale particolare del bacio da ubriachi –per non contare quella volta in cui Ohkura aveva permesso che lo sbattesse a terra e gli salisse sopra durante un concerto... e tante, tante altre cose- ma la iena era già tornata.
Spazientito, stava per chiudere la chiamati, quando sentì in lontananza la voce del suo salvatore: “Shibuyan, che hai da urlare così? Sveglierai tutto il palazzo”
Yasu era evidentemente poco turbato sia dal fatto che Subaru stesse usando il suo cellulare, sia dal fatto che si trovasse vicino al suo comodino nel cuore della notte; ma a Ryo non importava particolarmente, in effetti.
“Senti, senti: Dokkun vuole chiedere a Ohkura di andare a vivere insieme!” riuscì a dire prima di riprendere a ridere come un matto.
“Eh? Da quando stanno insieme?” fece Yasu spaesato “Comunque, perché gli stai ridendo in faccia? Dà qua!”
Finalmente la risata folle suonò più lontana, e venne sostituita dalla voce dolce di Yasu.
“Ryo-chan?”
“Mh?” grugnì.
“E’ vero? Vuoi chiedere a Tacchon di venire a vivere con te?”
“Mh” E non chiedermi il perché, aggiunse nella sua testa.
“...E... mi hai chiamato perché volevi un mio parere?”
Ecco: almeno Yasu sembrava una persona discreta e intelligente, al contrario di qualcun altro.
Chissà perché permetteva a Subaru di stare vicino al suo comodino durante la notte.
“E’ che... non so come potrei chiederglielo” biascicò, colto da un improvviso imbarazzo. Yasu non rispose ma, in lontananza, si sentì nuovamente la voce di Subaru.
“E’ ovvio, no? Per essere sicuro che accetti, devi chiederglielo quando è di buon umore!”

Osservava Ohkura, seduto davanti a lui, i capelli legati in una mezza coda per non farseli finire sul volto, mentre si riempiva la bocca di cibo.
Subaru aveva detto una cosa stranamente intelligente, la notte prima, e Ryo sapeva che c’era un solo modo per essere sicuri che Ohkura fosse di buon umore; quindi, durante una pausa dalle prove, lo aveva invitato a pranzo fuori, cantando le lodi del ristorantino accanto agli studio. Certo, subito dopo aveva dovuto fulminare con lo sguardo tutti gli altri membri, che lo guardavano con dei fastidiosi sorrisi maliziosi –che Subaru non avesse perso tempo e avesse già raccontato tutto agli altri?- ma Ohkura non si era reso conto di nulla e aveva accettato.
E ora si trovavano al ristorante, uno di fronte all’altro, Ryo che ancora non aveva toccato cibo perché troppo nervoso, l’altro che si rimpinzava con l’espressione da uomo più felice del pianeta.
Era stata decisamente una mossa geniale: il ragazzo era in un tale stato di pace col mondo che avrebbe esaudito ogni sua richiesta.
Tuttavia... era comunque agitato. Gli seccava ammetterlo, ma era un momento importante.
Yasu, la notte prima, gli aveva chiesto, tra le altre cose, se fosse per caso innamorato di Ohkura; lui aveva riso, perché era ovvio che non fosse così. Ohkura nemmeno gli piaceva. Quelle erano cosa da ragazzine.
Però si erano baciati, e tra loro c’era una certa... fisicità, alle volte; desiderava chiarire che tipo di rapporto avessero, e per qualche ragione pensava che la risposta che di lì a poco Ohkura gli avrebbe dato avrebbe chiarito molte cose. Avrebbe capito cosa ne pensava di lui.
Ma qual era il momento più giusto per chiederglielo? Alla fine del pranzo? Dopo aver pagato il conto? O forse avrebbe dovuto offrirgli anche la cena, giusto per essere sicuri? O forse...
“Vuoi venire a vivere con me?”
Ohkura alzò per la prima volta lo sguardo dal piatto, le guance gonfie e gli occhi sgranati.
Inghiottì.
Ryo trattenne il respiro.
“Certo che no, Ryo-chan”
E si ficcò in bocca ben due ravioli.

“Ma... tu e Ryo-chan state insieme?”
La domanda di Yasu lo aveva spiazzato. Ed era la seconda volta, quel giorno, che gli veniva rivolta una domanda assurda.
Perché quello che Ryo gli aveva chiesto a pranzo aveva davvero dell’incredibile; in realtà non gli stava prestando granchè attenzione, perché il cibo di quel ristorante era davvero delizioso, quindi era possibile che, prima di quell’assurdità, avesse detto qualcos’altro. Ma in ogni caso, non aveva senso.
Era ovvio che Ryo stesse scherzando, e Ohkura se n’era convinto ancora di più quando, tornati in sala prove, il collega aveva rivolto a Maru la stessa identica domanda.
Evidentemente Ryo-chan era in vena di scherzi, quel giorno.
Non c’era di che preoccuparsi.


Anno 2012
Un insistente pulsare all’altezza del fianco destro lo fece svegliare.
“Ryo-chin...”
Voltandosi alla sua destra, Ryo scoprì che il fastidioso pulsare altro non era che Ohkura che gli punzecchiava il fianco con insistenza –e, a giudicare dal leggero indolenzimento, probabilmente quella storia stava andando avanti già da un bel po’.
“Che vuoi?” mormorò, cercando di non mostrare il fastidio che provava per essere stato svegliato: erano le quattro di notte, e se Ohkura non stava dormendo profondamente doveva esserci un motivo molto serio.
L’altro lo guardò ad occhi socchiusi, e gli punzecchiò di nuovo il fianco.
“Mi porti qualcosa da mangiare?”
Sbarrò gli occhi. Come aveva fatto a non capirlo subito? Era così ovvio... Ohkura diceva di no a una bella dormita solo per ingurgitare quantità spaventose di cibo.
“Non scherzare. Vai a prendertelo da solo”
Gli diede nuovamente le spalle, ma fu costretto a rigirarsi dalla presa -straordinariamente salda, per uno stanco e affamato- sulla sua spalla.
“Che c’è ancora? Ti ho detto di no: alzati e prendi il fottuto cibo da solo!”
L’altro assunse un’orribile espressione, con le labbra arricciate in un broncio e le sopracciglia aggrottate “Ma ho troppa fame e sono troppo stanco per alzarmi...” si lamentò.
Ryo roteò gli occhi per poi chiuderli, deciso a riaddormentarsi il più in fretta possibile. Impresa destinata a fallire, dal momento che il suo compagno aveva ben deciso di iniziare a strattonargli il braccio con violenza.
Imprecò mentalmente: poteva anche dire addio alle restanti ore di sonno, perché Ohkura non l’avrebbe smessa finchè lui non l’avesse sfamato.
“Ho capito, ho capito! Rompipalle!”
E, magicamente, il braccio di Ohkura si fermò e lo lasciò libero.
Dopo aver appurato di indossare almeno i boxer, Ryo si alzò dal letto e si diresse verso la cucina, borbottando maledizioni tra i denti.
Solitamente era lui a fare il rompiscatole e a farsi viziare da Ohkura, ma alle volte –con suo immenso disappunto- succedeva il contrario: e questo solo perchè il suo ragazzo era un culopeso.
A quel pensiero, smise di camminare per qualche secondo, e si fermò in mezzo alla cucina: il suo ‘ragazzo’. Rabbrividì, per poi scrollare le spalle: non voleva affrontare l’argomento alle quattro di notte. In più, dall’altra parte c’era una persona affamata, quindi doveva sbrigarsi a procacciare del cibo, o quello avrebbe iniziato a sgranocchiargli i calzini.
La sua attenzione venne subito catturata dal sacchetto di ciambelle che Ohkura aveva portato al suo arrivo; probabilmente aveva intenzione di mangiarle a colazione, ma a Ryo non importava: peggio per lui che non si era alzato. Il suo sguardo si posò poi su una ciotola lì vicino, e il suo sguardo si illuminò: aveva trovato del cibo anche per lui.
Infatti, riflettendoci, quella sera avevano lasciato la cena a metà, per via di bisogni ben più impellenti della fame: era stata una giornata lunga e faticosa, e Ohkura stava emettendo dei versi a dir poco osceni, mangiando il dannato curry.
In ogni caso, doveva portare qualcosa che fosse solo per sé, perché le probabilità che una di quelle ciambelle scampasse alla fame assassina del più giovane erano pressoché nulle.
Non appena tornò in camera, quello si mise a sedere con un balzo, improvvisamente pimpante, e allungò le braccia verso di lui –verso il sacchetto, in realtà- con gli occhi che brillavano e un sorriso enorme.
Ryo glielo lanciò, per poi buttarsi sul letto e accingersi a terminare la sua cena, sbucciando la banana che aveva portato e spalmandoci sopra una generosa quantità di maionese. Ohkura gli rivolse appena un’occhiata e, dopo un ‘Puah’ sussiegoso, si ficcò in bocca metà ciambella ed entrò nel suo mondo. Ryo, invece, continuò ad osservarlo: i versi che faceva avrebbero anche potuto eccitarlo, come era accaduto qualche ora prima, non fosse stato per le guance rese enormi dal cibo e le briciole su e attorno alle labbra.
Involontariamente tornò a pensare alla questione ‘il suo ragazzo’: non era la prima volta che pensava ad Ohkura in quei termini, e non sapeva se la cosa gli piacesse o meno. Certo, c’era da dire che il loro rapporto non era più ambiguo come qualche anno prima: adesso stavano spesso l’uno a casa dell’altro, si addormentavano e si svegliavano insieme, facevano sesso –tanto, tanto sesso- ma... non era nulla di definito, e non ne avevano mai davvero parlato.
Si sentì arrossire nel pensare che, anni prima, la sua geniale idea per chiarire il suo rapporto con Ohkura consistesse nel chiedergli di andare a vivere insieme; tutta colpa di Yasuda e Subaru: chissà quante risate si erano fatti alle sue spalle...
E la cosa più imbarazzante era che quel... quel deficiente aveva anche rifiutato con nonchalance (per poi finire a letto con lui qualche mese dopo... evviva la coerenza). Il che lo aveva costretto non solo a evitarlo come la peste per il mese seguente, ma anche a chiedere a Maru la stessa cosa che aveva chiesto a lui.
“Quella volta...” iniziò, preso da un’improvvisa curiosità “Perché hai rifiutato?”
“Quale volta?” biascicò quello, la bocca ancora piena, senza degnarlo di uno sguardo.
“Quando ti ho chiesto di andare a vivere insieme”
E questa volta Ohkura deglutì e lo guardo, gli occhi sgranati.
“Pensavo scherzassi” disse, stupito.
Ryo gli restituì lo stesso sguardo: non poteva essere. Non poteva aver davvero pensato che stesse scherzando. Non poteva essere così stupido.
“Non ci posso credere” mormorò buttandosi indietro sul cuscino, masticando l’ultimo boccone di banana.
“Quindi eri serio”
“Perché cazzo avrei dovuto chiedertelo per scherzo?! Sei proprio un idiota!” sbottò, e poi ci fu silenzio.
Dopo aver terminato un’altra ciambella, Ohkura parlò di nuovo.
“Ryo-chan...”
“Che c’è?” grugnì.
“Vuoi andare a vivere insieme?”
E no. Quello era troppo.
Alzò la testa dal cuscino solo per sbatterlo in faccia al suo ‘ragazzo’.
“Fottiti! Quella era la mia battuta!!”
E si risdraiò, dandogli nuovamente le spalle, mentre quello mormorava “Oh, ok” e riprendeva a mangiare.
Ryo cercò di ignorare i versi orgasmici che provenivano dall’altro lato del letto –lo stava facendo apposta, questa volta, ne era sicuro- ma dopo un po’ non resistette più, e in mezzo secondo aveva lanciato lontano il sacchetto di ciambelle e premuto il corpo di Ohkura sotto di sé.

Ohkura si buttò sospirando sul divanetto del camerino.
Quando aveva visto il volto di Ryo comparire sul video, aveva sentito una goccia di sudore gelido percorrergli la schiena.
E infatti...
Ridicolizzato davanti al kohai e a metà Giappone.
Dannato Ryo-chan, pensò mentre componeva il suo numero sul cellulare.
“Che vuoi?” fu la soave risposta dopo tre squilli.
“Ti sembrano cose da dire in TV?” si lamentò “Mi hai fatto sembrare un deficiente”
“Ed è quello che sei” rispose Ryo, il tono soddisfatto “Spero che tu abbia provato anche solo un briciolo dell’imbarazzo che ho provato io quella volta”
“Facevi davvero sul serio...” mormorò, più a se stesso che all’altro; gli sembrava ancora tutto troppo surreale. Specie perché a quel tempo non c’erano poi tanti motivi per i quali avrebbero dovuto vivere assieme... non quelli che c’erano adesso, comunque.
“Perché non me l’hai più richiesto?”
“Dopo che mi avevi rifiutato così?!”
Seguì un lungo silenzio.
“Ryo-chan, tu pensi troppo” concluse.
“E tu non pensi mai a un cazzo. Ci completiamo”
Ohkura rise, perché era evidente dal tono di voce che Ryo non fosse davvero arrabbiato con lui... e perché in fondo aveva ragione. Però...
“Se... se me lo chiedessi ora, però, ti direi di sì” sussurrò.
Ryo non rispose subito, e quando lo fece fu con un confuso “Oh. Uhm. Allora va bene”
“E’ deciso, dunque” affermò allegro. In qualche modo si sentiva sollevato: gli sembrava, con quelle poche parole, di aver chiarito delle cose e di aver creato un qualcosa di definitivo... o che almeno ci somigliasse.
Gli balzò alla mente che c’era una cosa che non aveva mai detto a Ryo. Non che fosse particolarmente importante, per lui, o che ci fosse il bisogno di dirla a voce alta, ma... se proprio doveva dirla, per la prima e ultima volta, quello era il momento più adatto.
“Ryo-chin?”
“Eh?”
Sospirò, distogliendo lo sguardo dal grande specchi davanti a sé, imbarazzato.
“Ti amo”
Questa volta, Ryo rispose dopo molto più tempo, e la sua risposta fu un chiarissimo “Vaffanculo!”
Ma Ohkura sorrise comunque, e si dovette anche mordere il pugno per non lasciarsi sfuggire qualche urletto di gioia,perché quel ‘vaffanculo’, nella lingua di Ryo Nishikido, equivaleva ad un ‘anch’io’.



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